Riflessioni sul progetto vallotomo

Criticità progettuali della proposta PAT.
Questo progetto viene assunto formalmente in carico dalla PAT il 15 ottobre 2012 redatto da un gruppo di lavoro aperto di collaborazione di vari servizi provinciali per una progettazione esecutiva e depositato formalmente alla giunta comunale di Mori il 19 gennaio 2016. Tutta la progettazione si basa sostanzialmente a partire da uno studio complessivo dell’area commissionato dal comune di Mori al geologo Belloni e depositato nel 2007. Tale progetto era incaricato ad affrontare le problematiche della stabilità e caduta massi nel tratto di fronte roccioso soprastante gli abitati partendo da ovest in località Mori Vecchio per arrivare a Mori est in località Ravazzone. Nella sua analisi ha diviso il fonte in tre comparti definiti in A per la parte ovest, B per la parte centrale e C per la parte est. Con una ricerca puntuale ha classificato tutte le situazioni di potenziale pericolo e rilevato il pregresso dei massi staccatisi nel tempo storico di lungo periodo quali dati necessari per testare la validità del programma di simulazione caduta massi. Pur relazionando che la dimensione molto prevalente del pregresso era di circa un mc, simulava altresì una caduta massi da 2 a 5 mc. Dal risultato dei suoi calcoli rappresentati con chiarezza nelle tavole specifiche della sua relazione, risulta chiaramente che solo il 5% di essi potrebbe raggiungere la prima linea dell’abitato, con energia ovviamente che si azzera. Nello stesso ha evidenziato situazioni di ammassi instabili ove sicuramente il masso in oggetto non era quello in condizione peggiore, affermando nelle sue conclusioni che sicuramente nel comparto A i massi costituenti l’agglomerato denominato naso, vedasi commento in tavola 3 foto 8 sia in condizione più precaria dentro tutto il fronte e a nostro avviso meriterebbe una visita di controllo per somma urgenza del geologo Nardin. Nelle conclusioni scrive che i due comparti maggiormente pericolosi sono A e C e che la soluzione vallo tomo era quella espressamente gradita dagli uffici PAT. Con questa lettura, si può legittimamente considerare che una barriera a qualsiasi livello del pendio che assorba una significativa energia del masso nel percorso sarebbe sufficiente alla sicurezza conservando la attuale situazione terrazzata per impedire con la probabilità prevista da normativa l’arrivo sull’abitato ed anche su gran parte dei soprastanti terrazzamenti. Per il tomo PAT invece si sceglie l’opzione di spianare e conseguentemente velocizzare i massi ed incrementare l’energia finale a fondo valle con la conseguenza di obbligarsi a realizzare un imponente vallo tomo ed una maggior pericolosità a buona parte del tratto terminale. Si evidenzia che Belloni non ha mai parlato della soprastante parete come fonte dalla quale possa staccarsi una frana di grandi dimensioni e lontanamente paragonabile con il franamento del masso in oggetto. Nella stesura finale della relazione di calcolo, il geologo Zambotto teorizza, a nostro avviso discutibilmente, una situazione di disfacimento del fronte come sostegno alla teoria del franamento, Belloni e Nardin ne fanno invece una situazione localizzata poco attorno al nostro masso. Riteniamo che la generalizzazione della parete a franamento di tutto quel tratto di parete non trovi alcun supporto negli eventi storici di distacco, prova ne sia che dal 1986 a carico della PAT sono stati fatti solo 10 interventi uno/due di limitata entità hanno interessato questo tratto oggi progettato. Stesso dicasi per quelli ad intervento comunale
Nella relazione finale ufficiale, il dott. Zambotto dopo aver a nostro avviso strumentalmente demolito possibili interventi di consolidamento, simulandone una modalità che non è assolutamente l’unica possibile e sicuramente non è quella proposta dal comitato, accanto alla non possibilità dell’alternativa di barriere paramassi che a suo dire arrivano a prestazioni inferiori ai 5.000 kj (in realtà oggi arrivano a 8600 kj certificati contro i 7.600 delle necessità calcolate per il vallo tomo) conclude che solo il vallo tomo progettato risponde adeguatamente senza possibili alternative. Il calcolo dimensionale del vallo tomo è dimensionato per resistere all’impatto di un masso di 10 mc che lo colpisce a 3,5 dal suolo. Si evidenzia che nelle occasioni di confronto, in carenza di specifiche motivazioni tecniche non generiche delle sue convinzioni, si mostra irremovibile nella affermazione con la quale egli dichiara che non firmerà mai tipologie di intervento che necessitano di contatti anche minimali con l’agglomerato roccioso, non spiegando come sia possibile procedere alla perforazione generalizzata per collocare le micro cariche esplosive senza mettere fisicamente in sicurezza il masso.
Questa affermazione, a nostro avviso strumentale, se scritta in relazione, avrebbe di fatto reso chiaramente la sua volontà di rendere in partenza inutile qualsiasi confronto costruttivo minimamente alternativo al loro, sarebbe stato chiaro l’inutilità di qualsiasi confronto ed avremmo evitato di perdere tempo inutilmente. Conseguentemente, sempre per sostenere la necessità del vallo tomo, nella relazione finale si teorizza una demolizione con esplosivo evitando accuratamente di descriverne l’operatività presente nella precedente stesura ed è a nostro avviso, ancora strumentale, per rendere necessario pensare al solo effetto frana per effettuarne la demolizione.
Fortuitamente siamo entrati in possesso di una precedente stesura della sua relazione datata giugno 2016 in calce alla quale vi erano i nominativi degli ingegneri Pilati e Cristofori e datata giugno 2016 di cui l’ultimo salvataggio è del 7 luglio 2016.
Allegato vi era la documentazione di due prezzi dell’elenco provinciale, erano:
M.5.50.35 – ANCORAGGI IN DOPPIA FUNE SPIROIDALE IN ACCIAO
M.5.70.30 – PROVE DI CARICO SU ANCORAGGI GEOTECNICI
In tale relazione abbiamo letto concetti di ben altro tenore ed ovviamente completamente cancellati nella successiva stesura finale poi firmata dal dott. Zambotto che ne riporta integralmente il testo restante. In tale precedente stesura si afferma testualmente che per la demolizione del masso si procederà in questo modo:
“ L’intervento richiederà la predisposizione di un sistema di monitoraggio per valutare eventuali spostamenti durante l’esecuzione delle attività di perforazione propedeutiche alla demolizione vera e propria, che avverrà con l’utilizzo di esplosivi. La demolizione potrà avvenire anche per fasi successive, partendo dalla sommità a scendere, in funzione delle valutazioni dello stato di consistenza dei singoli volumi rocciosi. Alla base della parete rocciosa, nel tratto boscato, saranno predisposte delle barriere provvisorie per trattenere per quanto possibile sul posto la volumetria sbriciolata della demolizione.”
Si parla di massi sbriciolati, non di 5 o 10 mc. Nella relazione finale che per il resto ripete con il copia/incolla il resto del precedente contenuto, il dott. Zambotto ribadisce il concetto di intoccabilità del masso. Anche durate il confronto tecnico con il consiglio comunale, si può ascoltare che per tacitare la considerazioni fatte da tutti, cioè che i massi lasciati liberi di proiettarsi nel vuoto con traiettorie e dimensioni incontrollate, pericolose e potenzialmente con massi di medie dimensioni, affermava che avrebbe licenziato il fuochino che non fosse in grado di frantumare tutto l’ammasso con massi di dimensioni superiori ad un mc. La presenza delle specifiche voci di elenco prezzi in allegato evidenzia un approccio di foratura di dimensioni non trascurabili che non si concilia con le successive preoccupazioni espresse nella successiva relazione di quasi assoluta intoccabilità del masso.
Ne consegue che si possa ragionevolmente ipotizzare una insanabile contraddizione tra un esplosione con effetto frana incontrollata atta a nostro avviso per giustificare strumentalmente il vallo tomo di quelle dimensioni e in quella posizione e bloccare altre soluzioni con la loro proposta operativa che fa credere di evitare il passaggio di messa in sicurezza del masso come premessa al successivo intervento di demolizione. Ciò è esattamente l’opposto di quanto espresso nella precedente relazione. Sarebbe progettualmente illogico porsi immotivatamente ad esporsi con una procedura di maggior conclamato rischio senza tentare almeno preliminarmente la preventiva messa in sicurezza ante acceso al masso per la sua demolizione, innescando volutamente un maggior rischio di crollo complessivo, sapendo che il vallo tomo a fronte di 800/1000 mc di slavina detritica non potrà reggere, Si evidenzia che la procedura che era espressa nella precedente relazione è esattamente quello che propone il comitato, che ancor più prudentemente propone in primis una demolizione controllata senza esplosivo. Tale modalità anche se più lenta, non innescherebbe comunque gli imprevedibili effetti secondari di maggior produzione di detriti con dimensioni comunque non controllate e permetterebbe una sistemazione della parete rocciosa retrostante il masso in termini di maggior qualità e priva di irregolarità. Tali inevitabili irregolarità generate dalle esplosione, come notoriamente l’esperienza ha insegnato, saranno fonte di successivo distacco di massi che si potrebbe evitare. La diversa modalità presente nella penultima relazione prevede invece una modalità di intervento compatibile con la messa in sicurezza preventiva del masso prima di qualsiasi intervento demolitivo o di stabilizzazione finale. Proposta che molti ingegneri professionisti e qualificate imprese del settore sostengono essere tranquillamente fattibili, ed è condivisibile come non ottimale ipotesi, anche dal comitato. L’essenziale è che se si vuole imporre che il masso venga demolito, comunque venga demolito, il suo prodotto finale possa essere raccolto e smaltito in modo graduale, strettamente controllato nel suo percorso ed a monte della strada per Mori Vecchio. Tutta la cantierizzazione a monte ed i mezzi necessari non è assolutamente un problema, secondo quanto dichiarato dallo stesso titolare dell’impresa assegnataria dei lavori.
Tra le varie ipotesi di intervento, quella fondamentale è quindi la fattibilità della stabilizzazione del masso che il comitato propone sia eseguita, coperta da assicurazione e che ditte si sono già rese disponibili, con o senza la preliminare protezione a valle, sia provvisoria che facente parte della prevista struttura finale di arresto degli ipotetici massi. Con il costante monitoraggio si potrebbero quindi effettuare una serie di fori allineati lateralmente in verticale ai due lati, inserendo al bisogno barre di ancoraggio di golfari che permetteranno la collocazione incrociata di cavi tirantati, atti ad ingabbiarlo con rete avvolgente e cucitura senza sostanzialmente interferire con il masso. Il suo successivo destino potrà essere deciso i tutta tranquillità. Se serve si potrà preliminarmente o contestualmente consolidare con modalità scarsamente invasiva il piede che appare fratturato del masso stesso, il tutto controllato dal monitoraggio.
Si stima che questa fase non debba costare oltre 100.000€. Con questa modalità e con il giusto monitoraggio, in caso di movimento che superino valori cautelativi, si potrà sospendere immediatamente il lavoro, passando alla fase di porre in atto protezioni provvisorie come previsto dal geologo o che saranno una parte dello sbarramento finale. Questo per la tempestiva messa in sicurezza del masso a motivo della somma urgenza.

Si ritiene che pro futuro si possa con certezza, a bonifica avvenuta dei pochissimi massi ( uno o due) in potenziale pericolo in questo tratto, la garanzia del non ripetersi delle condizioni di pericolo attuali generati da secoli di abbandono del controllo della parete, posa essere intelligentemente superata procedendo ad un disgaggio o stabilizzazione garantita delle attuale pericolosità che nel tratto in oggetto si stimano essere non più di due dei quaranta che la PAT a nostro avviso strumentalmente dichiara genericamente esservi su tutto il fronte preso in considerazione. Questo dato dovrebbe far riflettere sul fatto che forse era più opportuno demolire o stabilizzare il pilastro in oggetto e dirottare le risorse per mettere in sicurezza immediata i tratti dei comparti A e C al momento trascurati ed in peggior condizioni complessive. Per quanto riguarda l’ipotesi soggettive dei geologi e degli input da dare ai loro programmi che ad oggi sono diligenti ma sempre non con autonoma intelligenza, si ritiene che sia giunto il momento di non subire passivamente gli eventi naturali e proporre dosi pesanti di antibiotico, ma dopo aver bonificato le situazioni di potenziale pericolo iniziare a fare prevenzione con un costante controllo visivo di personale già preposto sul territorio a svolgere questa funzione, affiancati da strumenti tecnologici ormai di uso comune quali droni e telelaser che oggi sono in grado di monitorare senza grosso dispendio di energie umane, movimenti ed evoluzioni di dettaglio di tutti i fronti rocciosi, quanto meno di quelli con sottostanti luoghi abitati. Con questi presupposti, le ipotesi soggettive dei geologi di quale sia la dimensione dei massi di possibili distacchi, si riduce ad una stima di pochi mc. e giustificherebbe anche oggettivamente dimensionamenti di protezione per futuri distacchi che potranno essere con probabilità superiore al 95% di bassa entità e di tipo isolato. Ciò permetterà la progettazione di molteplici alternative sicuramente meno invasive.

Concludendo crediamo di essere facili profeti se dopo aver costruito il vallo tomo con questa impostazione, quando sarà il momento della demolizione opteranno per quella esecutività che ora ci hanno strumentalmente celato. I cittadini avranno quindi il danno e le beffe. Speriamo fino all’ultimo di essere smentiti.

Per quanto riguarda il dimensionamento del vallo tomo e del calcolo della sua stabilità, da riscontro con più tecnici, si ritiene a nostro avviso la presenza di valori anomali che ne minerebbero la stabilità. La lettura della famosa nuova relazione che si è deciso di non consegnarci, era una prudenziale controprova di verifica di tali dati.
Premesso che il nostro riferimento tecnico ing. Ressegotti in seguito al terremoto in Friuli del 1976, ha progettato circa 200 interventi antisismici su edifici esistenti e per nuove costruzioni, con elaborazione di software di calcolo in quanto a quel tempo case di software hause specializzate non erano ancora nate e quindi ne possiede una specifica competenza, considera elemento fonte di seria preoccupazione il mancato chiarimento rispetto alla presenza o meno della verifica antisismica che dovrebbe essere presente e documentata con gli elaborati connessi. Dalla PAT, non viene data una risposta della possibile calcolata incidenza rispetto alla discesa a valle di un masso a causa di una scossa sismica. Lo stesso dicasi in riferimento alla stabilità del tomo in presenza di scosse di terremoto. Ad oggi l’unica frase inserita al riguardo recita “Nelle verifiche tecniche si è considerato la forza pseudo statica d’impatto come una forza variabile agente in assenza di sisma pari a 257 KN/m, applicata ad un’altezza di 3,5 m.”, si dovrebbe dedurre che la forza orizzontale pseudostatica di impatto sia senza la componente sismica che crediamo ci debba essere obbligatoriamente per legge nel contesto della sua verifica di stabilità. Ciò è particolarmente doveroso stante che il tomo è a pochi metri a monte delle case ed un suo franamento che potrebbe estendersi a tutta la sua lunghezza, sarebbe disastroso. Una progettazione prudenziale avrebbe indicato in posizione più alta o comunque distante dalle case una più sicura soluzione. La proposta del comitato va in tal senso ed oltre al giusto calcolo strutturale colloca tra il tomo e le case un ampio tratto di territorio che potrebbe assorbire eventi peggiori anche di quelli ipotizzati. Come tutti sanno il terremoto non si adegua alle tabelle dei gradi di sismicità (vedi l’ultimo evento in Abruzzo).
Si evidenzia altresì che nella carta di rischio idrogeologico dell’area che risulta presente nella documentazione del dott. Belloni, salvo smentita, non trova traccia negli elaborati base PAT. Da essa risulta che l’intervento è collocato al confine tra zona rossa ad elevato rischio (R4) e zona verde rischio medio (R2). Stante che la (R4) è attribuita specificatamente a tutela degli edifici abitati e loro pertinenze, si ritiene che per opere di questa vitale importanza per l’incolumità delle persone, buon criterio progettuale dovrebbe far convenire che in concreto il rischio perimetrato non debba essere valutato oggetto di un significativo salto di discontinuità nello spazio di un metro misurato a cavallo della linea tracciata in cartografia. La ricerca di luoghi a maggior distanza è progettualmente doverosa. La proposta del comitato offre questa possibilità.
Su specifica domanda del nostro tecnico al dott. Zambotto se il programma di calcolo è stato testato con una verifica in back analisi. Ci è stato risposto affermativamente senza mostrare alcuna documentazione. Non riteniamo possibile fare tale verifica sulla parte rimodellata che può essere gestita solo a discrezione del progettista. La parte a monte potrebbe esserlo ma solo con una simulazione sull’esistente come fatto dal dott. Belloni.
Non viene assolutamente affrontato una ipotesi gestionale delle significative quantità di massi di piccole e grandi dimensioni che a dire dei tecnici PAT precipiteranno in tale area. Va da se che pochissimi raggiungeranno il fondo del vallo ma si arresteranno in vari punti del pendio e dovrebbero essere disgaggiati e frantumati con costi a carico delle amministrazioni di riferimento. La soluzione di uno sbarramento a monte come proposta dal comitato raccoglierebbe il tutto funzionalmente A nostro avviso, osservando esperienze già realizzate per tomi di queste dimensioni, il mantenimento estetico abbastanza utopico ed ha costi non banali. Solo una garanzia fidejussoria a favore dei frontisti sarebbe impegnativa ed auspicata.
Si ritiene, a nostro avviso, priva di sostanziale fondamento il presupposto fondamentale che sia obbligatorio accettare senza alternative, la frana complessiva di una esplosione senza protezione di controllo dei suoi detriti ed ancor più di slavine di franamento dalla parete. I punti di potenziale pericolo di caduta di massi presenti in parete, sono affrontabili con specifici interventi con protezioni provvisorie durante l’intervento di disgaggio e barriere paramassi collocate a monte e previste per distacchi isolati. Va da se che un controllo monitorato del fronte, permetterebbe di anticipare l’evolversi della formazione di futuri distacchi isolati, con interventi preventivi di semplice esecuzione.
Tra l’altro gli stessi estensori non sono in grado di calcolare la resistenza all’impatto del franamento che tra l’altro verrebbe volutamente innescato. Permettendoci una battuta, forse si confida nella protezione della Madonna di Montalbano.
Con la stabilizzazione si può quindi portare la situazione nel suo corretto campo di applicazione sia della somma urgenza e del percorso progettuale di intervento complessivo di risanamento del fronte a partire da Mori Vecchio a Ravazzone. In questo contesto questo intervento può proseguire in un confronto su basi meno frettolose, con risparmio di risorse, salvaguardia ambientale evitando l’uso di procedure amministrative che a nostro avviso sono palesemente irregolari.

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